“Non sono un commerciante, sono un poeta della profumeria. Mi piacerebbe che le persone, entrando nei miei negozi, non pensassero che siamo lì per vendere, ma per divertirci e per offrire loro un prodotto che permette di divertirsi. Non si vive di soli incassi”. È questa la filosofia che anima Marco Vaccari, titolare di Marco e Luisa Vaccari Profumerie che gestisce, insieme alla moglie Luisa e al figlio Stefano, 36 negozi, di cui la maggior parte nella sua Modena e il resto sparsi tra Piemonte, Veneto, Toscana, Lombardia e Marche. Negozi che fanno di Marco Vaccari un punto di riferimento per il mercato. Del resto è nato e cresciuto nella profumeria – suo nonno ha aperto la prima nel 1912 – e di questa conosce punti di forza e debolezze, di questa ha vissuto l’era del dettaglio tradizionale, l’arrivo delle grandi catene nazionali e internazionali e l’affermazione della distribuzione moderna. Il tutto di pari passo alla crescita delle realtà regionali, come la sua, animate dalla passione per questo mercato e dall’entusiasmo per il proprio lavoro.

Quest’anno festeggia 40 anni dall’apertura del suo primo negozio. Come è cambiato nel tempo il suo mestiere?

Via via è venuto meno il supporto che le case cosmetiche ci offrivano. Oggi le aziende investono gran parte delle proprie risorse nelle catene di profumerie nazionali e internazionali, a scapito delle realtà italiane indipendenti. Compaiono sui quotidiani e in televisione nelle campagne pubblicitarie della distribuzione organizzata ma poi tolgono un punto di marginalità a noi. Probabilmente è una scelta che deriva anche dalla necessità di ridurre i costi, per esempio degli agenti, logistici ecc., ma è un peccato perché in questo modo si perde il valore aggiunto dato dall’imprenditorialità radicata sul territorio. Inoltre si rischia di avere una distribuzione sempre più omologata: ancora di più tutte le profumerie offriranno gli stessi brand e prodotti.

Servirebbe un deciso cambio di marcia…

Sarebbe necessario un intervento da parte di Fenapro. Ma non è possibile per come l’associazione è strutturata oggi. Difficilmente qualcuno si assumerebbe l’onere di chiedere agli associati di non comprare i prodotti della tale azienda, con tutte le conseguenze che questo potrebbe comportare. E non vedo tra i giovani nessuno con la voglia di fare dei reali cambiamenti.

Ma in questi anni il mercato è cambiato solo in negativo?

Sono una persona interessata ai rapporti umani. E oggi mi trovo un po’ in difficoltà perché spesso l’unico oggetto di dialogo sono i numeri. Mi piace lavorare e divertirmi lavorando, mi piace fare quattro chiacchiere, anche perché un 1% in più o in meno non cambia nulla. Sono rimasti pochi rappresentanti dell’industria con cui avere un rapporto umano, per i quali la parola data vale quanto, a volte anche più, di un contratto.

Capisco però che con un mercato in flessione anche i numeri non si possano trascurare. Secondo Npd infatti il canale profumeria si è confermato sostanzialmente stabile a valore mentre sono diminuiti i prodotti venduti. Conferma questo trend?

Il dato Npd non rispecchia la vendita nei miei 36 negozi, che hanno realizzato un giro d’affari di circa 32 milioni di euro perdendo almeno il 5% sul 2010. Per numero di pezzi il dato è ancora più negativo.

Questo a fronte di un aumento medio dei prezzi…

Alcuni fornitori continuano a dire che vendiamo prodotti di lusso e quindi è necessario alzare i prezzi, perché chi acquista il lusso non bada al prezzo. Mi viene in mente un mio amico ristoratore che continuava ad alzare i prezzi per selezionare la clientela. Dopo un anno sono tornato nel suo locale e tutti i tavoli erano vuoti. L’eccessiva selezione aveva creato la non frequentazione. È quello che sta succedendo a noi nella profumeria.

Come è possibile riportare le persone nel selettivo?

Innanzitutto dobbiamo smetterla di raccontare bugie in pubblicità. Nel corso degli anni questo ci ha fatto perdere dei settori importanti, come i cosmetici per il corpo. Abbiamo proposto gli anticellulite dicendo che facevano miracoli e li abbiamo venduti a prezzi sempre più alti. Oggi non li compra più nessuno. C’è un noto brand che propone una crema per il corpo a 99 euro. Altri che offrono bagnoschiuma da 150 ml a 38 euro. Non ne vendiamo un pezzo. Che senso ha? Sembra che facciamo i prodotti apposta per non venderli.

E per allontanare i consumatori, i giovani in particolare…

I giovani sono sorprendenti e in grado di stravolgere ogni previsione che cerchiamo di fare. Sono i nostri consumatori del futuro.

Ma li stiamo allontanando…

Li spaventiamo certe volte, perché – soprattutto nei centri storici, non nei centri commerciali dove l’accesso è facilitato dalla mancanza di porte e possono curiosare senza problemi – non appena entrano nei nostri negozi li aggrediamo. Magari vogliono comprare un deodorante da 4 euro e noi cerchiamo di vendergliene uno da 30. Ci sono coloro che resistono al nostro assedio ed escono senza aver comprato nulla e c’è chi si vergogna e si sente obbligato all’acquisto ma si ripromette che non metterà più piede in quel negozio. Accade un meccanismo simile a quello che si è creato con i visagisti. Fino a qualche anno fa quando il truccatore di una casa cosmetica veniva in profumeria per presentare nuove linee e prodotti c’era la lista di clienti che prendevano appuntamento per farsi fare il trucco. Ora teniamo nascosto il fatto che verrà un make up artist perché altrimenti la cliente evita di venire in profumeria.

Perché?

Perché anche i visagisti devono dare dei risultati in termini di vendite e tentano di vendere più merce possibile alle consumatrici. Ma perché? Il truccatore dovrebbe essere considerato come una pagina di pubblicità, dovrebbe essere parte di un’operazione di immagine, dovrebbe creare curiosità su un trucco nuovo e insegnare come utilizzare un prodotto inedito, non vendere. Invece le aziende si aspettano in cambio dei risultati di sell out immediati. Potremmo avere la fila di clienti che vengono a farsi truccare, invece non succede così. È un errore che fanno le grandi aziende, si aspettano dei risultati immediati.

Ma non tutti avranno questo tipo di approccio.

No, alcune aziende hanno delle filosofie e diverse, ci hanno aiutato a far entrare più persone in profumeria – per esempio bloccando i listini e proponendo dei prodotti accessibili – ma non sempre questi brand sono aiutati dai profumieri.

La profumeria è spesso accusata di non essere in grado di offrire un’esperienza di acquisto appagante. I punti vendita non sono divertenti. Perché?

È un problema di costi. Un profumiere normale con i suoi margini commerciali non può investire troppo nella costruzione o nel rinnovamento di un negozio, non riesce a realizzare punti vendita realmente differenti. Alcune aziende possono farlo perché considerano questa spesa come pubblicitaria, di immagine. Sono bravo anch’io ad aprire negozi per rimetterci, fare dei punti vendita spettacolari che però non si ripagano o aprire in centri commerciali che non funzionano, dove fatico a ripagare le spese. I punti vendita come quello recentemente aperto da Acqua di Parma in centro a Milano è sicuramente un esempio per tutto un settore che, però, non potrà mai fare nulla di simile.

Ma non è possibile realizzare degli investimenti anche più contenuti per dare un segnale ai consumatori?

Personalmente sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Tutte le profumerie sono omologate, i marchi sono sempre quelli, messi in la nello stesso modo. È un sistema immobile. I profumieri sono imbalsamati e vivono su dinamiche e modelli del passato, e anche i fornitori non ci aiutano.

In che senso?

Tutti i nostri fornitori non conoscono la realtà della vendita del dettaglio. Dico sempre ai dirigenti che dovrebbero andare in negozio. Continuano a fare prodotti sempre più cari. Ci sono aziende che hanno 12/13 linee tra rossetti e gloss. Ci sono marchi che hanno 285 diversi colori. Continuano a lanciare novità che sono giuste per loro, perché gli fanno fare fatturato, ma ammazzano i profumieri.

Però non necessariamente dovete acquistare tutto ciò che lanciano.

Certamente noi non acquistiamo tutti i prodotti che ci propongono – e quando prendiamo la novità pretendiamo che ci ritirino i vecchi – ma il singolo negoziante non può. E anche con noi è una battaglia continua. In questo mercato esistono ancora sudditanze psicologiche e velate minacce di non so cosa, perché ci rimettono solo le case cosmetiche se non ci consegnano la merce.

Parlate linguaggi differenti e non vi capite.

Siamo sulla stessa barca, ma remiamo uno da una parte e uno dall’altra. Quando parliamo con i fornitori la qualità del servizio, l’esposizione, ecc. non sono una parte fondamentale del contratto, ma solo il fatturato lo è. Tant’è che c’è solo un’azienda che calcola il premio di ne anno non solo in base alla quantità acquistata ma anche in funzione di aspetti qualitativi. Questo ha un senso. Gli altri riconoscono solo i volumi. Le aziende lavorano per raggiungere un risultato annuale che si traduce in una serie di obiettivi mensili. E di conseguenza il 30 o il 31 di ogni mese mi contattato proponendomi degli pseudo business con degli sconti ad hoc, mi parlano di migliaia di euro di merce e pretendono che io risponda loro nel giro di poche ore. Ma io ho un’impresa e voglio raggiungere i miei risultati a fine anno, non mi interessa se un mese vendo di più e l’altro di meno. Una volta, fino al 2008, quando il mercato cresceva del 20% potevo permettermi di comprare ogni cosa, senza discutere. Oggi non è più così. Quando nel 2009 il mercato è entrato in crisi, nessuno se lo aspettava. Mi stupisce, ma ciò che mi stupisce di più è che nell’arco di due anni nessuno abbia preso delle iniziative per fare fronte a questo mutamento degli equilibri. Tutti continuiamo a fare le medesime cose.

Tornando al problema dell’omologazione delle profumerie. La nicchia può essere una soluzione?

La nicchia è una cripta. Lo dico perché ne ho avuto a che fare. Tranne in pochi punti vendita non funziona.

Qual è la via per differenziarsi allora?

Devi avere per forza certi brand e sono quelli che hanno tutte le profumerie. Le case diverse – quelle che gli altri non hanno – sono quelle che si vendono meno. Il problema è che purtroppo facciamo fatica a vendere tutto ciò che non è pubblicizzato. Dobbiamo proporre prodotti davvero efficaci, solo così è possibile recuperare la fiducia dei consumatori, soprattutto dei giovani, che credono meno alle favole, sono molto più concreti. E quando entrano in un negozio non dobbiamo spaventarli. Dobbiamo salutarli, fargli dare un’occhiata e salutarli nuovamente anche se non comprano niente.

Le ricerche ci dicono che il tempo medio di permanenza all’interno di una profumeria è molto ridotto.

Certo, le clienti scappano via perché hanno paura che gli rifiliamo un altro prodotto e così di non potere più fare la spesa, di non potere più comprare i maccheroni per il marito! Le persone non entrano nei nostri negozi perché temono che gli facciamo spendere troppo.

Oggi siete presenti in 6 regioni con 36 profumerie. Aprirà altri negozi?

No. Sono deluso da questo andamento di mercato. Non ho più voglia di lavorare. Ci sarà un motivo? E non riguarda solo il nostro settore, ma tutta l’Italia. Sono stanco di questa situazione in cui tutto diventa sempre più difficile e nella quale gli ostacoli sono sempre più numerosi e complessi da superare. Non vedevo l’ora di aprire 100 negozi e ora sono pentito di averne 36.

Non dica così. Quest’anno festeggiate il centenario della prima Profumeria Vaccari. Intende celebrarlo in qualche modo?

Non so ancora, dovremo studiare qualcosa per divertirci. Ma nulla di più. Puntiamo al futuro. I 100 passati non contano, sono i prossimi 100 che valgono!