Sgombriamo subito il campo dalle critiche. C’è chi accusa il panel di non essere sufficientemente rappresentativo perché con le sue rilevazioni non copre la totalità del mercato. Stiamo parlando di Npd Group, società di rilevazione che dal 2005 analizza il sell out del mercato della profumeria selettiva in Italia. “Rileviamo il 100% dei punti vendita delle catene nazionali, circa la metà delle local chain e 300 porte indipendenti” spiega Sylvie Cagnoni, director beauty Italy di Npd Group. “Il nostro livello di rappresentatività del canale è molto elevato, a confronto con panel di altri mercati. Per esempio per rimanere in ambito specialistico, il canale farmacia, con oltre 17.000 punti vendita, è monitorato da un campione di 2.500 farmacie. Come in ogni panel retail, le rilevazioni non possono coincidere con tutto l’universo, soprattutto in mercati frammentati e poco concentrati. Con un campione di 1.500 porte su un universo complessivo della profumeria selettiva di 3.000, potremmo al più accusarlo di avere una minore accuratezza statistica quando si parla di retail tradizionale e indipendente, ma non per questo mettere in discussione il servizio in toto”.

Ha senso puntare a una copertura totale?

È ovvio che l’errore statistico è più elevato nella distribuzione tradizionale indipendente rispetto alle catene nazionali e locali, ma ci sono dei limiti tecnici alla crescita della copertura di tale tipologia distributiva: molti punti vendita non sono informatizzati e non sempre sussiste la volontà di partecipare al panel da parte di titolari mono-porta non vedendone i benefici concreti per il loro business. Inoltre un significativo ampliamento del campione degli indipendenti ha un costo difficilmente sostenibile dal punto di vista economico poiché richiede la gestione di un numero molto elevato di retailer mono-porta senza la possibilità di sfruttare eventuali economia di scala. Credo che le critiche che ci vengono mosse sulla copertura siano spesso alimentate dalla mancanza di consapevolezza di tale complessità.

Ha creato un po’ di malumore da parte dell’industria cosmetica l’iniziativa di fornire le informazioni sulle Top 20 marche ai retailer che aderiscono alla vostra rilevazione…

Dobbiamo ricordare che l’esistenza del panel è garantita proprio dalla collaborazione della distribuzione, unica fonte di raccolta del sell out del mercato selettivo, che manifestava da tempo il bisogno di ricevere maggiori informazioni di mercato dal panel, oggi diventato il maggiore strumento di misura e di sviluppo del loro business. Inoltre era tempo di allineare e armonizzare a livello europeo il servizio informativo di ritorno ai distributori.

La profumeria selettiva sta vivendo un momento difficile, da un lato minacciata da vecchi e nuovi competitor e dall’altro colta da disaffezione da parte dei consumatori. Quali sono secondo lei i punti di forza su cui il canale può e deve fare leva per uscire da questa congiuntura?

La profumeria deve far leva sui suoi punti forza ma anche sfatare alcuni falsi miti. Alla fine del 2011 abbiamo realizzato un’indagine sui frequentatori della profumeria che ci ha permesso di individuare i plus da valorizzare. Prima di tutto il fattore umano. Oggi le consumatrici lamentano il fatto che le addette non prestano attenzione ai bisogni della cliente ma cercano solo di spingere i prodotti dal punto di vista commerciale. Al contrario le vendeuse dovrebbero ascoltare le esigenze e offrire un consiglio tecnico-specialistico, dovrebbero dialogare di più con le clienti, raccontando loro i valori di cui le marche sono portatrici e le loro storie. In questo modo potrebbero creare un legame con il brand ma anche accrescere la familiarità con il punto vendita e quindi fidelizzare.

Parlava anche di falsi miti…

Per esempio relativi al posizionamento del canale selettivo: la profumeria rappresenta un lusso accessibile e pragmatico. Offre benessere, piacere, gratificazione e sogno, ma allo stesso tempo dà risposte concrete ed efficaci a bisogni specifici in termini di prodotti e consigli. Non è quindi solo edonistico, ma funzionale alle necessità delle consumatrici. L’accessibilità del canale va letta anche sul lato dell’offerta di marche con diversi posizionamenti di prezzo. Infine un aspetto di fondamentale importanza su cui il canale deve fare leva è l’altissima qualità e sicurezza dei prodotti offerti: non si enfatizza mai a sufficienza la forte innovazione tecnologica realizzata dalla aziende del settore grazie a centri di ricerca all’avanguardia. Tutto ciò dovrebbe essere maggiormente comunicato dal canale e dall’industria.

Insomma la profumeria sembra il luogo delle occasioni mancate….

La più eclatante è relativa alla shopping experience. Il consumatore italiano vuole toccare i prodotti, testarli, provarne le texture eppure spesso non ci sono i tester e scarseggiano i campioncini. L’offerta è molto ampia – il cliente apprezza il fatto di avere possibilità di scelta – ma l’esposizione spesso non è né efficace né attraente. Gli scaffali sono sovente un muro indistinto di packaging, mentre la consumatrice vorrebbe vedere, per esempio, il suo profumo esposto come un gioiello. C’è molto da lavorare. Soprattutto nello skincare, è sorprendente notare come, nonostante il driver principale di acquisto sia il benefit, l’organizzazione dello scaffale non segua mai questo criterio. Inoltre i packaging devono essere migliorati nella leggibilità e comprensione della promessa. Anche il legame con il mondo fashion potrebbe essere potenziato. Nonostante molti brand appartengano all’universo della moda spesso le sinergie non sono sfruttate a sufficienza. Per esempio nonostante alcuni prodotti richiamino i codici delle collezioni di abbigliamento e accessori, difficilmente si mostrano sul punto vendita i video delle sfilate. Anche l’atmosfera della profumeria può tornare a essere un punto di forza a condizione però che il negozio sia accogliente, divertente e moderno. Anche con l’obiettivo di intercettare una clientela giovane che spesso oggi frequenta altri canali.

In generale invece di percepire l’ampiezza dell’offerta, si percepisce solo grande confusione. Il category management sicuramente renderebbe l’offerta più chiara, ma è sufficiente?

Il category management è utile per migliorare l’esposizione dei prodotti a scaffale e, facendo leva sulle adiacenze tra le diverse categorie e sul cross merchandising, incentivare gli acquisti d’impulso. L’86% degli acquisti in profumeria sono mono-categoria, questo vuol dire che il cliente entra in profumeria e compra solo un profumo, un prodotto di make up o uno di skincare. Al contrario l’esposizione potrebbe facilitare la sinergia tra le categorie, andando a incrementare il cross selling e di conseguenza lo scontrino medio. Inoltre, il category management potrebbe essere utilizzato per ottimizzare i percorsi, aumentando l’affluenza nei reparti meno frequentati. L’asse del trattamento, che è il meno visitato della profumeria, è anche quello con la minore pianificazione dell’acquisto: quasi il 70% delle scelte è fatto in store, quindi il fatto di guidare il consumatore verso questa categoria potrebbe accrescerne notevolmente il sell out, a condizione naturalmente che il personale sia in grado di informarlo e consigliarlo adeguatamente.

Puntare sulla shopping experience, accrescendo il contenuto sensoriale della visita in profumeria, potrebbe essere una chiave di differenziazione e di fidelizzazione?

Questo canale ha un potenziale straordinario. La profumeria può giocare con colori, odori, texture, video e musica, le persone possono divertirsi comprando. In questo modo si incentiva la visita non solo funzionale all’acquisto ma anche per “fare un giro” e vedere le novità. E il traffico sul punto vendita aumenta.

Infatti la profumeria soffre del calo di visite nei negozi, nonostante l’industria cosmetica continui a investire in comunicazione. Non basta questo per convincere le persone a entrare in profumeria?

Il supporto media, soprattutto tramite Tv è importante, perché aumenta l’awareness del brand e accresce il sell out. Quello che manca è spesso il legame con il canale, l’invito a entrare in profumeria a provare il prodotto. E una volta sul punto vendita spesso mancano i richiami alle campagne. L’emorragia di consumatori nasce dal contesto economico difficile e anche dall’affermazione di competitor sempre più agguerriti come i monobrand e i drug specialist. Per questo la profumeria deve usare in modo più efficace e coordinato tutte le leve di marketing: il prezzo, la comunicazione, la promozione, gli eventi…

Eppure alcuni brand hanno attuato un riposizionamento verso l’alto…

D’altra parte però altri hanno optato per l’accessibilità puntando non tanto sul cut price ma piuttosto su formati promozionali, con maxi o mini taglie e gift set. È importante mantenere alta l’immagine della marca e al tempo stesso usare quelle leve che comunque possono rendere conveniente l’acquisto della marca stessa. È vero che ci sono brand che continuano a investire nella fascia premium, alcuni con successo, altri meno, laddove esiste un target di consumatrici altospendenti.

Dior, Chanel, Collistar, Lancôme, Shiseido, Clinique, Estée Lauder, Clarins, Giorgio Armani e Sisley sono i primi 10 brand in Italia e realizzano più del 50% del totale sell out del canale. A suo giudizio quali sono i valori/contenuti su cui dovrebbero fare leva coloro che vogliono emergere?

Dietro a ciascuno di questi brand top, e non solo, ci sono storie affascinanti di pionieri e innovatori che con la loro personalità hanno dato un imprinting che continua a perpetuarsi nel tempo. È quindi importante che la marca capitalizzi la propria eredità portandola a conoscenza del consumatore e richiamandola costantemente, tanto a livello di storia quanto di valori. Così si crea un legame con la clientela indissolubile. In questo senso anche i brand emergenti devono raccontare da dove vengono per rompere le resistenze che i consumatori possono avere all’acquisto di ciò che non conoscono.

Negli ultimi mesi stiamo assistendo all’affermazione di strutture di aggregazione, come il consorzio Ethos Profumerie. Dal suo punto di vista privilegiato, quale pensa possa essere l’evoluzione del selettivo tradizionale in Italia?

Le profumerie tradizionali non hanno massa critica per contrastare la visibilità e le azioni di marketing messe in atto dalle catene, però possono giocare ancora un ruolo molto importante in funzione del loro radicamento sul territorio, del rapporto che hanno saputo instaurare con la clientela e della professionalità del loro personale. Le profumerie tradizionali hanno spesso il vantaggio di essere presenti nei centri storici, il che è un punto di forza in quanto la scelta del negozio preferito è spesso fatta in base alla prossimità. C’è da dire però che i tradizionali devono essere in grado di rompere le barriere all’entrata, rinnovandosi e diventando un po’ più moderni. È ovvio che dal punto di vista della promozionalità lo scontro con le catene è impari. Di conseguenza l’affiliazione in un consorzio di marketing potrebbe essere un modo per ridurre i costi sfruttando le economie di scala e per aumentare la propria visibilità.

Vedete lo spazio per un altro consorzio in stile Ethos?

Lo spazio c’è. In Francia, per esempio, non esistono più tradizionali puri ma ci sono diversi gruppi di marketing. Ad oggi, però, in Italia non ci sono altri player così organizzati e marketing oriented come Ethos, che è stato in grado di sfruttare anche la comunicazione al consumo. Altre realtà sono ancora troppo focalizzate solo sulla parte degli acquisti.

Molti brand e catene stanno puntando sull’e-commerce. Quali ritiene che siano i fattori di successo di questo canale rispetto alla profumeria selettiva? E quali, invece gli elementi di debolezza?

Sappiamo che l’e-commerce per la categoria prestige è ancora in una fase di start up ma è destinato a crescere, anche alla luce di quanto abbiamo registrato nei mercati anglosassoni. In particolare è una reale alternativa nel caso di acquisti ripetuti e clienti fidelizzati. Da numerose ricerche emerge che l’utilizzo dell’online nel beauty penalizza le novità ed è legato prima di tutto alla comodità di acquisto da casa, meno alla convenienza di prezzo perché nel nostro mercato non si può ricorrere alla promozionalità nella stessa misura di altri mercati come l’elettronica, l’abbigliamento, il turismo ecc.

A proposito di web, il beauty è uno degli argomenti più oggetto di conversazione sia nei blog sia nei social network. In che modo è possibile capitalizzare un simile patrimonio?

I social network hanno dato impulso alla possibilità di implementare attività di marketing e di comunicazione interattiva attraverso le quali l’azienda si mette in gioco, aprendosi al confronto nella massima trasparenza. Con un investimento limitato inoltre è possibile avere un’esplosione di contatti, che potrebbero trasformarsi in acquirenti. L’importante è essere reattivi e saper gestire in modo efficace questo strumento che altrimenti rischia di sfuggire di mano. Per questo alcune aziende si stanno dotando di figure specifiche come il chief digital officer.

Il 2012 è iniziato in salita, come pensa si evolverà il mercato nell’arco dei prossimi mesi? Anche alla luce di quanto sta accadendo all’estero…

Questo inizio 2012 è stato penalizzato da eventi negativi sia climatici sia economici, tra questi neve e scioperi. Anche aprile è stato pessimo dal punto di vista metereologico, danneggiando la vendita di solari e prodotti per il corpo. È una situazione generalizzata in Europa: fatta eccezione per la Gran Bretagna, tutti i mercati registrano analoghe difficoltà. Riteniamo che, se la situazione non cambierà, il 2012 potrà chiudersi in negativo come fu il 2009, l’anno della grande crisi, quando si registrò una perdita del 3,5%. In generale la profumeria tiene un po’ meglio rispetto ad altri mercati, ma l’economia non sembra riprendersi a breve né l’incertezza diminuire. Tuttavia le aziende hanno confermato tutti i loro investimenti e i loro lanci. L’importante è che industria e distribuzione continuino a sostenere il mercato, senza arretramenti.