Il beauty non è mai stato così dinamico. Da un lato, ogni giorno emergono nuovi brand, guidati in alcuni casi da personaggi famosi che capitalizzano sulla propria notorietà e in altri da imprenditori con una forte expertise nel settore e una visione altrettanto granitica. Dall’altro lato, i canali si sovrappongono, e i confini tra chi vende cosa, dove e come sono più sfumati che mai. A questo si aggiungono i cambiamenti nel comportamento dei consumatori, che passano dalle acque profumate alle fragranze di nicchia senza soluzione di continuità, aggiungono o rimuovono step dalla propria beauty routine come se nulla fosse e si fanno guidare dal mantra della viralità o dello storytelling per scegliere il make up griffato piuttosto che l’accessibile dupe. Il tutto guidati dalla ricerca del proprio benessere. Di conseguenza, con un’offerta così ampia e una domanda tanto curiosa ed esigente, non stupisce che il retail continui a siglare nuovi accordi distributivi con l’uno o l’altro brand e che sempre più spesso spazi dal marchio indie alla nicchia passando per il masstige, il prestige e il luxury. Fin qui il discorso è ineccepibile, anzi la perfetta esplicitazione del paradigma che il consumatore deve essere messo al centro del business. Ma allora perché apriamo siti e-commerce e siamo bombardati di newsletter e messaggi con tagli prezzo del 30, 40 e anche 50%? Se la profumeria offre al consumatore ciò che quest’ultimo chiede, perché deve farlo a un prezzo ribassato per vendere? È un problema di modello o di posizionamento prezzo? Forse stiamo pagando l’aumento indiscriminato attuato da numerosi brand del selettivo negli ultimi anni, incremento che ha portato a uno scollamento con la clientela non tanto a livello di desiderata, quanto di capacità di spesa…
© RIPRODUZIONE RISERVATAIn caso di citazione si prega di citare e linkare beautybiz.it