Il consumatore sicuramente è diverso da quello che era qualche anno fa. È più consapevole e ha accesso a una quantità più significativa di informazioni, di cui peraltro non è detto che faccia uso. Ma la differenza più importante rispetto al passato è che questo consumatore è stato abituato a essere continuamente oggetto di promozioni, quindi a cercare il prezzo migliore sul mercato. Tant’è che se oggi si reca in profumeria per fare un acquisto e non trova lo sconto, reagisce come se avesse ricevuto un affronto. Si è creata una tale consuetudine che invece di gratificare, il taglio prezzo è diventato un boomerang che genera sfiducia nell’interlocutore: il consumatore non sa più qual è il vero valore dei prodotti. Senza contare poi che il cliente fedele al singolo punto vendita e alla consulenza che qui viene erogata risulta essere discriminato. È paradossale ma coloro che garantiscono la marginalità al retailer, invece di essere premiati per la loro fedeltà finiscono per essere penalizzati. Detto questo industria e distribuzione possono sicuramente collaborare per creare valore per il cliente a vari livelli. Penso si debba lavorare su concetti di category management volti a creare degli assortimenti bilanciati e strutturati in funzione delle esigenze della clientela. È necessario che le marche facciano un passo indietro.

In che senso?

È chiaro che ci possono essere anche alcune categorie in cui il brand può essere un fattore all’entrata importante, ma ce ne sono altre nelle quali non è altrettanto rilevante. In questi contesti penso che aggiunga maggior valore il fatto di aiutare il cliente a orientarsi nell’offerta, esponendo i prodotti per bisogni e inserendo a scaffale diverse alternative in grado di soddisfare le sue esigenze. Alcune farmacie hanno iniziato a lavorare in questa direzione.

Perché le farmacie sono state più proattive delle profumerie?

Forse perché hanno un forte focus sulla salute del proprio interlocutore e sui suoi bisogni, più di quanto non accada nel canale profumeria. In questo senso le farmacie andrebbero imitate. Anche perché, nel momento in cui viene meno il lavoro di category, si corre il rischio di comunicare al consumatore solo due elementi: la marca e il prezzo, elementi che peraltro sono in contrasto perché la marca non dovrebbe lavorare sul prezzo, se non in occasioni eccezionali. Invece accade che i brand cosmetici, al fine di portare avanti un discorso di esposizione per marca, con scaffali con una forte personalizzazione, cedono sul prezzo e sullo sconto. Tutto ciò non va nella direzione del consumatore. Al contrario, il potenziale acquirente dovrebbe essere portato per mano all’interno del punto vendita, guidato verso una serie di alternative in grado di soddisfare le sue esigenze, in modo tale che capisca che l’assortimento non è banalmente la somma di un certo numero di marche, bensì una risposta di una categoria di prodotti a uno specifico bisogno.

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