“Abbiamo la fortuna di lavorare in un bel mondo e siamo in controtendenza rispetto al mercato. Per questo mi sento un po’ privilegiato, ma il fatto di aver puntato nel corso degli anni sulla rotazione e sui margini, pensando sempre al consumatore, ci ha dato ragione. Così come l’attenzione prestata ai dati, fondamentali da analizzare per correggere il proprio operato”. È quanto afferma Tullio Prevato, direttore generale di Unix Profumerie, realtà che nasce nel 2003 attingendo a piene mani dall’expertise maturata dal manager in trenta anni di attività in questo settore e dal know how accumulato dalla controllante Alì (proprietaria di supermercati e ipermercati nel Triveneto) nell’ambito della grande distribuzione organizzata. Per un mix che, a giudicare dai risultati positivi conseguiti in questi difficili mesi, risulta vincente.

Il 2012 si è aperto in modo non positivo per la profumeria. Che cosa secondo lei il canale selettivo deve fare per invertire il trend? E per sottrarsi alla concorrenza di canali alternativi?

La farmacia, i drugstore e anche gli ipermercati ben strutturati stanno realizzando risultati positivi. Se la profumeria riuscisse a fare tutto ciò che predica, probabilmente migliorerebbe anche in termini di sell out. Certamente non esiste un unico modello di profumeria. C’è chi sceglie di proporre pochi marchi ultraselettivi e chi come noi, invece, punta sul servizio dal punto di vista sia dell’assistenza sia dell’assortimento, offrendo al consumatore tutti i prodotti che servono per il suo benessere e la bellezza quotidiana. Il tutto a un prezzo accessibile. Non ha senso che continuiamo a proporre shower gel o dopobarba come ancillaries delle fragranze a 30 euro. Non tutti i profumi e non tutti i brand se lo possono permettere.

Cosa propone?

Dobbiamo continuare a fare leva sui nostri punti di forza, come l’accoglienza, la consulenza e la prova prodotto. Dobbiamo puntare sui campioni e sugli omaggi di minitaglie, che la consumatrice apprezza fortemente, così come attribuisce valore ai gadget, quali pochette e borsoni in regalo. Dobbiamo fare leva sul micromarketing. Il che significa anche che in giornate di pioggia omaggiamo tutte le acquirenti di un ombrello e in pomeriggi afosi regaliamo loro un ventaglio. Ci dobbiamo continuamente chiedere: che cosa posso fare per attrarre la consumatrice e avere un vantaggio rispetto ai competitor? Al di là di questo sono necessarie anche soluzioni di tipo economico e politico che trascendono il nostro canale.

Cosa dal suo punto di vista dovrebbe fare l’industria cosmetica?

L’industria dovrebbe aiutarci a fare delle indagini sul consumatore per capire un po’ di più e un po’ meglio che cosa vuole.

Ci sono profumieri che lamentano il fatto che l’industria cosmetica abbia del tutto perso di vista il consumatore…

A volte è così, ma il nostro ruolo è spronare l’industria a fare qualcosa di diverso e di innovativo. Dobbiamo essere propositivi e coinvolgerla. Le case cosmetiche da parte loro dovrebbero fare meno lanci e più forti, puntando su prodotti specifici nel trattamento, emozionali nel make up ed evocativi nel profumo. Dovrebbero supportarli con campagne di comunicazione d’impatto e coinvolgere e incentivare il trade in un rapporto di vera partnership. Solo in questo modo la profumeria sarebbe motivata a dare visibilità al prodotto e a supportarne il sell out, migliorando la rotazione degli stock e quindi i risultati economici. Qualche azienda si è già mossa in questa direzione, come Biotherm, Clarins e Clinique, ma anche Guerlain di recente con il lancio di Le Petit Robe Noir e andando indietro nel tempo Chanel per il rossetto Rouge Coco. Il massimo effetto si ottiene coniugando la qualità del prodotto con la teatralizzazione sul punto vendita, purché in linea con l’immagine e i valori associati al brand.

Quando parla di partnership cosa intende?

Fare formazione ma anche ritirare i resi delle collezioni obsolete, in modo tale da creare spazio fisico sullo scaffale per le novità ed eliminare stock invenduti. In questa ottica stiamo lavorando bene con alcuni fornitori e meno con altri, con i quali abbiamo iniziato a “puntare i piedi”. Penso che questo difficile momento di mercato ci aiuti a migliorare la collaborazione con certe case cosmetiche e ad allontanarne altre che adottano strategie rigide e inadeguate. Alcuni dirigenti dalla mentalità anacronista dovrebbero cambiare mestiere. Il fornitore dovrebbe lottare per avere spazio a scaffale, per avere la vetrina e per essere proposto al meglio alla clientela, non per avere l’ordine da 24 piuttosto che da 48 pezzi. Se tutto funziona poi l’ordine viene di conseguenza, c’è ancora invece molta ansia da impianto iniziale.

Lei ha iniziato a lavorare nel mondo della profumeria nel 1973 e nella sua carriera si è occupato del lancio di diverse insegne: da Caron, passando per Beauty Star fino ad arrivare a Unix. Come è cambiato il modo di fare profumeria in questi anni?

In passato era l’industria a proporre i prodotti, noi retailer li mettevamo sullo scaffale e aspettavamo che il consumatore entrasse nel negozio e, non avendo molte alternative tra le quali scegliere, li comprasse. Oggi le aziende – se vogliono fare dei risultati importanti – sono costrette ad analizzare il mercato e le sue reali esigenze, espresse o ancora latenti. I consumatori sono evoluti, esigenti e molto più informati rispetto al passato, prediligono negozi dove l’atmosfera e l’assortimento da un lato, l’accoglienza e la consulenza offerta dal personale dall’altro sono adeguati. Per questo motivo di recente abbiamo incrementato l’investimento in formazione, andando quasi a raddoppiare le giornate di training organizzate sia in modo autonomo sia in collaborazione con le case cosmetiche.

Qual è stato il focus della formazione?

Abbiamo approfondito tematiche come visual merchandising, vetrinistica e display, ma anche tecniche di vendita e accoglienza della clientela. Con le aziende cosmetiche, invece, ci siamo focalizzati su argomenti più specifici del canale selettivo. In particolare con L’Oréal Luxe abbiamo realizzato corsi di dimostrazione per il make up e lo skincare, in modo tale che le nostre addette siano in grado di far vivere alle clienti l’esperienza della prova di trucco e di trattamento. Di recente abbiamo introdotto, infatti, un pacchetto denominato Servizi di bellezza Unix che prevede la prova gratuita di prodotti di maquillage e cosmesi per i titolari di carta di fedeltà. Inoltre, insieme ad alcuni fornitori invitiamo la clientela top nelle nostre cabine, ad apprendere tecniche di trucco e di trattamento. Non c’è alcun obbligo di acquisto e omaggiamo le partecipanti con due buoni del valore di 5 euro, spendibili in acquisti futuri, e con i campioni di prodotto più adatti alle loro esigenze. È un lavoro impegnativo, ma ci sta dando buoni risultati. La consumatrice ha bisogno di maggiore considerazione e di essere più coccolata.

Che cosa altro vuole il consumatore che entra in profumeria?

Credo che il consumatore abbia bisogno di sentirsi seguito e ben accolto. Oggi troppo spesso siamo trattati come dei numeri. Spesso accade di entrare in un negozio e non essere neppure salutati o il saluto che si riceve è di circostanza. L’obiettivo è di far percepire a ognuno dei nostri collaboratori che il lavoro è fatto bene solo quando una persona esce dal punto vendita felice perché gli abbiamo fatto vivere un’esperienza positiva, non solo per ciò che ha acquistato ma per come è avvenuto l’acquisto. La fidelizzazione viene a seguito di tutto un percorso di servizi che diamo al consumatore. Già oggi il 60% del nostro venduto è veicolato tramite fidelity e i titolari di carta hanno uno scontrino medio più alto del 52% rispetto ai non titolari. Puntiamo a crescere ulteriormente attraverso il programma di fedeltà.

In questi anni, sintetizzando quanto raccontava, la profumeria è diventata più moderna. In questo senso Unix è emblematica perché applica delle logiche da gdo al selettivo…

Ma senza mai perdere di vista l’accoglienza e altre peculiarità come la cura per l’ambiente, l’ordine e la pulizia degli scaffali che sono invece prerogativa della profumeria. Noi dobbiamo essere impeccabili, ben organizzati ed efficienti.

Quali sono i plus di un approccio da grande distribuzione?

Le logiche della grande distribuzione ci permettono di creare circoli virtuosi di cui il beneficiario è il consumatore finale. Basti pensare alla comunicazione: oggi il consumatore viene messo a conoscenza delle nostre proposte attraverso il nostro sito web, le newsletter, la carta stampata e gli spot radio che realizziamo sfruttando le condizioni contrattuali siglate alla nostra controllante, quindi con tempi e costi più contenuti di quelli che avremmo avuto altrimenti. Beneficiamo dei sistemi informatici per tutto il back office e delle infrastrutture del gruppo che ci permettono di rifornire i punti vendita in modo rapido e con consegne bisettimanali. Anche dal punto di vista commerciale facciamo leva su economie di scala che ci garantiscono una politica prezzi competitiva, tanto che nelle toeletries siamo allineati con i prezzi di supermercati e ipermercati nella zona.

Secondo molti il mercato delle toiletries e dell’igiene è ormai perso per il canale selettivo….

In questo comparto siamo in controtendenza rispetto al mercato: siamo allineati rispetto allo scorso anno e addirittura in certi punti vendita cresciamo. Non puntiamo ad avere un ampio assortimento ma a offrire un servizio alla consumatrice. È un nostro punto di forza, che peraltro non ci danneggia in altri comparti. Abbiamo una quota della bassa profumeria che è quasi doppia rispetto al mercato e tutto ciò senza andare a perdere nell’alta profumeria, anzi. Una buona politica prezzi e un’offerta corretta ci aiutano a vendere meglio tutto l’assortimento.

Quali sono le peculiarità della profumeria tradizionale che è necessario preservare ed enfatizzare?

Prima di tutto il rapporto personale con il consumatore, che oggi più che mai si trova a dover fare acquisti senza l’ausilio di un interlocutore non solo competente ma soprattutto disponibile all’ascolto. È necessario accogliere la persona nel modo giusto e offrigli i migliori consigli senza però che questa si senta forzata all’acquisto. Dobbiamo riuscire a far percepire al consumatore, attraverso semplici gesti, il piacere di fare l’acquisto.

Alcuni mesi fa ci aveva raccontato che stava attuando una mappatura completa dei punti vendita, con l’indicazione dei metri lineari dedicati a ciascuna categoria e brand. Come si è conclusa questa analisi?

Al momento abbiamo mappato e di conseguenza ottimizzato l’esposizione del 50% dei punti vendita ottenendo un deciso miglioramento a livello di effetto ottico e di visibilità: nell’alcolico, dove prima c’erano mediamente tre discese ogni tre metri, abbiamo oggi quattro discese da 75 cm. In questo modo aumentiamo il numero di discese sui marchi leader a parità di cm con un effetto molto impattante. Abbiamo poi eliminato dall’assortimento i marchi minori che non avevano una rotazione adeguata e puntato sui prodotti che hanno maggiori quote di mercato o che, anche se hanno una market share inferiore, sono importanti per noi a livello di margine.

Che risultato avete ottenuto?

Molto positivo, i consumatori hanno avuto l’impressione che avessimo aumentato i marchi in assortimento. Al contrario, li abbiamo diminuiti. Altra cosa che abbiamo cambiato è la tecnica per proporre i grandi formati nelle fragranze. Ci siamo resi conto che nelle big size non eravamo così forti in termini di sell out. Oggi abbiamo cambiato il modo di proporli: enfatizziamo il risparmio che il cliente può avere dall’acquisto del formato più grande. E stiamo ottenendo buoni risultati. È fondamentale analizzare bene i dati Npd, perché ci permette di fare dei ragionamenti importanti e costruire il display più corretto per ogni marca.

Attualmente il mercato sta vivendo un momento critico, anche per effetto di quanto sta accadendo a Limoni. In che modo pensa che una vicenda come questa possa impattare sul mercato in generale?

La mia opinione è che la vicenda Limoni si chiuderà senza troppi scossoni, perché sono troppi gli interessi delle banche e le esposizioni di alcuni importanti fornitori per permettere che ci siano soluzioni di forte impatto. Se le stesse vicende avessero coinvolto un retail minore il problema non sarebbe mai sorto, perché lo avrebbero fatto fallire prima. Oggi non conviene a nessuno. Alla fine chi pagherà? Tutto il mercato perché i lanci dei nuovi prodotti non saranno più supportati come in passato, in quanto le case cosmetiche dovranno recuperare le perdite. Era necessario intervenire prima, molto prima, appena il meccanismo ha iniziato a scricchiolare, ma queste non sono le logiche finanziarie.

Come prevedete di chiudere il 2012?

A oggi stiamo perdendo lo -0,5%/-0,8% a parità di punti vendita. Mi auguro che, visti i presupposti, a fine 2012 riusciremo a chiudere in parità o al massimo al -1% a rete costante. Stiamo facendo meglio del mercato e vorremmo andare avanti in questa direzione. Il fatturato medio per punto vendita dei 27 negozi attuali è di 860.000 euro con 105 addetti sui punti vendita, più il personale della sede. Nei prossimi mesi proseguiremo il progetto di restyling dei negozi esistenti ed entro fine anno apriremo altre due profumerie.

Dove?

Vogliamo consolidare il Triveneto ed espanderci in Emilia Romagna, da un lato, e verso Bergamo e Brescia, dall’altro. La strategia è di rimanere nel raggio di 200/250 km da Padova. Ci piacerebbe fare qualche apertura in più ma il nostro obiettivo non è avere tanti negozi in perdita ma averne anche meno con il conto economico positivo. Saremo anche in grado di raccogliere opportunità di crescita se si presenteranno, e probabilmente questo succederà nel prossimo futuro.